Gli autori di riferimento che vengono citati dalla critica per la poesia di Antonio Fiori sono, a quanto ne so, Caproni soprattutto e Gozzano. Leggendo certi versi di In merceria a me – che su un classico del Novecento come Caproni devo ahimè confessare ignoranza – è capitato invece di ricordare certe intonazioni, modi, arie e umori di Attilio Lolini, mancato pochi mesi fa. Ad accomunare i due – insieme alla predilezione per la misura breve e al ricorso al “versicolo”, quasi sistematico in Lolini, frequente in Fiori – stanno le ironiche ricognizioni e constatazioni di perdite, disincanti, delusioni e disillusioni e riduzioni di spazio esistenziale («Sempre più angusti i nuovi spazi / non possono ospitarci // Qualcuno vorrebbe andarci lo stesso / da solo, per ritrovarsi // Sono spazi sfuggenti e improvvisi / a cui bisogna adattarsi», In merceria, Carlo Delfino editore, 2012, p. 33; dalla stessa raccolta accanto a questi Nuovi spazi cito almeno altri due testi: Il perché della corsa e Riaversi, pp. 42 e 43).
I soggetti e la lingua di Lolini, classe 1939, sono come è noto spesso aspri ed estremi o esasperati (secondo una maniera che la critica ha da tempo codificato come “maledettismo frivolo”); Fiori, classe 1955, si mantiene sempre più misurato e garbato, affabile – tratti che corrispondono anche alla persona, in coerenza di stile fra vita e opera.
I versi dei due che qui propongo in parallelo si avvicinano anche per i titoli sotto cui sono stati raccolti dai rispettivi autori. Nuove poesie, sezione centrale di In merceria, e Vesto giovane, raccolta di Lolini che comprende versi scritti fra il 1981 e il 1990 ed è stata inclusa nell’ampio volume Notizie dalla necropoli. 1974-2004 (Einaudi, 2005, con una straordinaria postfazione di Sebastiano Vassalli). Nei due titoli ciò che conta è l’aggettivo: nuove e giovane, appartenenti alla stessa area semantica, sono usati in senso ironico e autoironico, con possibili declinazioni satiriche o moraleggianti, come è evidente dal seguente testo di Fiori, intitolato Nuovi peccati (p. 27):
Non ci crederete, ma sono nati peccati nuovi
Alcuni, nella speranza d’essere commessi
si sono nascosti in quelli vecchi
(ai quali tutti, si sa, siamo affezionati)
Altri, più furbi
si sono mascherati da passatempi
ed hanno fortuna presso ignari praticanti
Altri, infine, più coraggiosi
hanno rinnegato la loro origine
– cambiato identità
e deciso virtuosamente di vivere
E in parallelo, dal primo testo di Vesto giovane (p. 53):
Se la stolta saggezza
i ridicoli pudori
avessero fatto
– come me –
naufragio
ti saresti già annoiato
dei vecchi peccati
e nuovi e leggeri
ne avresti inventati.
Ora un secondo parallelo, più intimo e vibrante. Il Dentro di Fiori, a p. 18 della sezione eponima di In merceria:
che cosa è rimasto
di quello che fu luce
che mi scaldava sempre
che non avrò più
Ferita infetta, arto mozzato
… ed era leccio, vetta
giovane roccia
fiato.
Versi che inconsapevolmente richiamano Lolini, p. 58 di Vesto giovane:
come passa lontano
si direbbe proiettato
la felicità
una stanca invenzione
va spiandosi negli specchi
s’azzurra i capelli
guarda le foto
fruga nei cassetti
e ciò che rimane
è ancora amore e desiderio
Per concludere questa breve ipotesi di lettura sinottica, tra le Nuove poesie di Fiori quella che trovo più loliniana – ma bellissima soprattutto – è Nuove amicizie (p. 30):
Le migliori sono fatte in ospizio
tra vecchi nostalgici e stanchi
In questi incontri c’è il vizio di cercarsi
sorridere di nuovo, sedersi accanto
Anche l’amore affiora ogni tanto
fulgidamente, prima d’ammalarsi
Nel mondo di Lolini infatti la vecchiaia è una grande protagonista e creatrice di cortocircuiti e minime e illuminanti deflagrazioni tra senso e nonsenso, con un’energia residua dissacrante e corporale, apparentemente terminale o compressa eppure sempre risorgente come sberleffo, minimo guizzo, ghigno, sfida. Mi capita di ripetere fra me i due preziosi versicoli, quasi un proverbio, posti in esergo a Carte da sandwich (Einaudi, 2013): «vecchi attivi: / l’odio ci fa vivi».
Nei versi, nel mondo di Fiori un termine come “odio” forse non ricorre, d’altro canto è anche lui capace di parole nette e memorabili, in proprio o in citazione (per esempio, da Michele Ranchetti: «La morte non fa paura, / la morte non è niente / fa paura il morente»). La fede di Fiori nelle parole è immensa, del resto altrimenti non sarebbe un poeta, e come non essergliene grati se infine, per tutti:
basterà che il tempo riconcili
lo spazio che divide le persone
che rallenti il passo e che ci affidi
con limpidezza solo alle parole
23 ottobre 2017
Questo testo è presente anche nel blog collettivo La poesia e lo spirito.