Piero – il pappagallo uguale a Portobello
giunto dall’Ecuador nascosto in un borsone –
per due decenni e oltre
festeggiò tutte le nuvole estive e i temporali
con fragorosi richiami tropicali;
volò e volò e volò
basso sui prati a sfida con il cane,
gracchiando nomi umani
e i rauchi versi del gallo, le galline;
volò alto e si perse infinite volte;
venne rapito,
cercato nella valle e ritrovato.
Io lo temevo: atterrando su me come su un albero
m’affondava gli artigli nelle spalle;
per riportarlo in casa, a sera,
gli porgevo un lungo ramo da lontano.
Uccise Paolo un giorno,
il più minuto e mite
compagno di gabbia
con una voce sola.
Fu ucciso con errata anestesia
da un veterinario offertosi di limare
l’adunco becco,
in cattività diceva ormai troppo cresciuto
*
Dopo i primi sguardi d’ammirata invidia
a lui che col becco le solletica l’orecchio
e la segue sul posatoio alto, e lei che pronta lo risegue
su quello basso e più ancora gli s’accosta
– spalla a spalla, piuma a piuma,
testa a testa, becco all’orecchio –
presto gl’inseparabili ci paiono Stanlio e Ollio
che si sculettano giù dal trespolo
mentre Ollio spazientisce e strilla stupíído!,
ci paiono Sandra che s’arruffa con Raimondo,
ci paiono uguali a tutte
le vecchie coppie del mondo
*
Sempre meno uccelli nei boschi
– il pianeta desertifica –
e l’udito non è più quello d’un tempo
ma qui si continua a uscire
dai sentieri, a battere la montagna in lungo e in largo,
perché senza la passione per questi frulli d’ali
e imprendibili presenze
nell’aria intorno
nemmeno più
la si chiamerebbe vita
*
Giovanna MENEGÙS, da Ornithology
Quasi estate
“Voluminaria verde”, ExCogita, Milano, 2017
*
Pubblicato in La poesia e lo spirito